DOSSIER - Brexit o non Brexit? È quando il problema - Parte I

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ABSTRACT: Uno spettro si aggira per l’Europa: è la Brexit! A più di tre anni dal referendum che sancì la volontà del 52% dei cittadini britannici di abbandonare l’Unione, però, della tanta annunciata Brexit nessun segnale. Perché? Cosa sta succedendo? Le ultime settimane sono state intense e piene di colpi di scena, e hanno riportato la Brexit sulla bocca di tutti. È il caso quindi di riepilogare quanto successo in queste giornate che entreranno negli annali di storia, nel bene o nel male, e vedere cosa ci aspetta in futuro.

DOVE ERAVAMO RIMASTI?

Nel dicembre 2018, Leonardo Brambilla ha scritto su questo sito un dossier sullo stato dell’arte della Brexit, spiegando che “dopo mesi di tensioni e incertezze, soprattutto sulla possibilità di incorre in un “no-deal” […] le due sponde della Manica sembrano aver trovato un punto di convergenza”. A novembre 2018 infatti, il Governo Britannico di Theresa May aveva raggiunto un accordo (Withdrawal Agreement) con i negoziatori europei che stabiliva le condizioni dell’uscita del Regno Unito dall’ Unione Europea (UE): in attesa di un più dettagliato accordo sulle relazioni future (specialmente commerciali), i negoziatori Britannici ed europei erano riusciti a concordare i “termini del divorzio”. La stipula del Withdrwawal Agreement era stata accolta con positività e sollievo, dopo mesi di stallo e difficoltà spesi nel tentativo di conciliare gli interessi divergenti delle parti: si intravedeva finalmente la luce in fondo al tunnel.

Eppure, un anno dopo, si parla ancora di Brexit, ad evidenza che qualcosa deve essere andato storto. Theresa May, infatti, aveva fatto i conti senza l’oste: il Parlamento britannico. I Parlamentari inglesi si sono opposti con forza ai piani del Governo, facendolo infine fallire. Da quel momento è ormai trascorso un anno, e ne sono successe di cose: la Brexit non è successa il 29 marzo; Theresa May si è dimessa a maggio; Boris Johnson, hard Brexiter da sempre contrario all’approccio della May, da lui ritenuto troppo morbido, è diventato primo ministro. Con la sua elezione, la prospettiva di un “no-deal” (uscita del Regno Unito dall’UE senza accordo) è diventata improvvisamente concreta e sempre più probabile. Al grido di “do or die” e con la promessa di ottenere l’uscita entro la scadenza del 31 ottobre 2019, Johnson sembrava più che mai determinato a non cadere nella trappola parlamentare in cui era caduta May. Nonostante gli sforzi del Parlamento, pareva di intravedere una nuova luce in fondo al tunnel: Brexit era vicina, anche al costo di un no-deal e del conseguente possibile (anzi, probabile) caos.

Anche questa volta, però, un colpo di scena ha cambiato le carte in tavola: il 17 ottobre Jean-Claude Junker (Presidente uscente della Commissione Europea) ha annunciato che UE e Regno Unito avevano raggiunto un nuovo accordo sulla Brexit, che modificava parzialmente il Withdrawal Agreement negoziato dalla ex-premier May a novembre 2018. Alla notizia, molti, me compreso, hanno sospirato e pensato ANCORA?! E QUINDI ADESSO CHE SUCCEDE? Riepilogare tutto quanto è successo è virtualmente impossibile, ma si può provare a fare chiarezza sui punti chiave.

IL NUOVO ACCORDO

L’accordo del 17 ottobre -qui si trovano tutti i documenti ufficiali- mantiene invariato gran parte del Withdrawal Agreement del 2018, intervenendo principalmente sulla controversa questione del confine irlandese, unico punto di contatto fra UE e Regno Unito dopo la Brexit. Sia l’UE che la Gran Bretagna hanno convenuto sulla necessità di evitare il ritorno di un “confine rigido” con controlli sui 400 chilometri di frontiera, che avrebbe profonde ripercussioni non solo economiche, danneggiando i lavoratori transfrontalieri e rendendo difficile il commercio sull’isola, ma anche politiche, minacciando la pace ottenuta col Good Friday Agreement.

Nel 2018, data l’impossibilità di trovare un accordo su come evitare il ritorno dei controlli, i negoziatori UE e britannici avevano proposto l’introduzione del cosiddetto “backstop”, ovvero un “meccanismo di emergenza”. Il backstop sarebbe infatti entrato in vigore solo se, alla fine del periodo di transizione, le due parti non fossero riuscite a trovare un accordo in grado di evitare definitivamente un confine rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord. Se attivato, il backstop prevedeva che il Regno Unito rimanesse all’interno dell’Unione doganale europea, con l’Irlanda del Nord facente anche parte del mercato unico, fino a quando non fosse stata trovata una soluzione alternativa. Questa soluzione è sempre stata considerata dai sostenitori della Brexit (compreso Johnson) come un “tradimento” della volontà popolare: la potenziale permanenza indefinita del Regno Unito nell’unione doganale veniva considerata come una “Brexit incompleta” ed un ostacolo alle future relazioni commerciali del Regno Unito, impossibilitato così a concludere liberamente accordi commerciali con paesi terzi.

Il nuovo accordo prevede invece la sostituzione del backstop con il Protocollo Rivisto sull’Irlanda. Tale protocollo prevede l’introduzione di un meccanismo non più di emergenza, ma permanente, per cui la sola Irlanda del Nord rimarrà allineata all’unione doganale europea e nel contempo all’interno del territorio doganale britannico. La natura ibrida del regime doganale nordirlandese ha come prerequisito l’introduzione di controlli di frontiera non al confine con l’Irlanda, bensì nel tratto di mare tra l’Irlanda del Nord ed il resto del Regno Unito. Prima di approdare sull’isola irlandese, le merci britanniche andranno infatti controllate: alle merci che rimarranno all’interno dei confini britannici andranno applicati i dazi britannici, mentre alle merci che «corrono il rischio di essere commerciate nell’UE», cioè di essere vendute e commerciate in Irlanda e nel resto dell’Unione, saranno applicati i dazi europei. Da un lato, questo nuovo meccanismo mantiene la promessa di evitare il ritorno dei controlli di frontiera sull’isola d’Irlanda. Dall’altro, i controlli di frontiera non vengono eliminati, ma piuttosto spostati all’interno del territorio britannico, introducendo quindi un trattamento differenziato per l’Irlanda del Nord rispetto al resto del Regno. Per questo motivo, questa opzione non era mai stata presa in considerazione dal governo May, venendo vista come una minaccia all’integrità territoriale del Regno Unito.

Johnson ha ritenuto la garanzia di un’uscita secca e definitiva importante abbastanza per il Regno Unito da giustificare i controlli doganali nel mare d’Irlanda. Diversamente la pensano gli alleati di governo nordirlandesi del premier, i parlamentari del Partito Unionista Democratico (DUP). Gli Unionisti hanno infatti annunciato il ritiro del loro supporto al governo e il voto contrario al nuovo Withdrawal Agreement, considerandolo svantaggioso per il progresso economico dell’Irlanda del Nord e una minaccia per l’integrità del Regno. Non è stato sufficiente ad ottenere il loro supporto il compromesso raggiunto tra UE e Regno Unito riguardo allo scrutinio democratico sull’applicazione del Protocollo Rivisto: se approvato, il Protocollo entrerebbe in vigore automaticamente alla fine del periodo di transizione, venendo però sottoposto al veto dell’Assemblea Parlamentare dell’Irlanda del Nord dopo quattro anni di applicazione. In caso di approvazione, il Protocollo verrebbe rinnovato per altri otto anni, per esser poi sottoposto nuovamente al voto. In caso contrario, il “Joint Committee” di negoziatori britannici ed europei istituito dopo la Brexit a monitorare l’implementazione dell’accordo avrebbe due anni per trovare una soluzione alternativa. Sebbene questa procedura metta un gran potere decisionale nelle mani dell’Irlanda del Nord, è stato mal ricevuto dal DUP, a cui Johnson aveva promesso un potere di veto esclusivo sull’accordo. Il Protocollo prevede invece un voto “cross-community”, ovvero coinvolgente non solo i partiti unionisti, ma anche quelli repubblicani. Da qui il rifiuto del DUP di appoggiare il Witdrawal Agreement.

L’altra importante modifica al Withdrawal Agreement è la parziale revisione della Dichiarazione Politica, documento non vincolante allegato all’accordo stesso che contiene delle indicazioni programmatiche che faranno da base della futura relazione tra UE e Regno Unito. La principale modifica consiste nell’inclusione di una clausola sul principio “level playing field”, in base al quale il Regno Unito si impegna, dopo la fine del periodo di transizione, a non fare concorrenza sleale all’Ue in ambiti chiave quali le politiche ambientali ed i diritti dei lavoratori. Questa clausola è stata fortemente voluta dall’Unione, per evitare che il Regno Unito dopo la Brexit inizi ad offrire standard e condizioni economiche inferiori a quelli europei per ottenere investimenti e rilanciare l’economia.

Il nuovo Withdrawal Agreement, a parte queste modifiche e alcune questioni aperte, tra le quali spicca il regime dell’IVA dell’Irlanda del Nord, rimane invariato in tutte le sue altre parti, compresa la durata del periodo di transizione (fino al 31 dicembre 2020), nonostante il crescente scetticismo circa la possibilità che UE e Regno Unito riescano a concludere un accordo commerciale entro quella data. Che ci aspetti un nuovo tira e molla di date di recesso anche dopo la Brexit vera e propria?

Il nuovo accordo è stato presentato dai negoziatori europei e britannici come “il miglior accordo possibile”. Difficile non guardare a questa definizione senza ironia, essendo la stessa che ha accompagnato l’accordo del novembre 2018: il possibile sembra avere limiti piuttosto labili, quando si parla di Brexit. Inoltre, il successo del nuovo accordo rimane appeso a un filo teso tra il Parlamento Britannico, che deve approvarlo, e il Consiglio europeo, che ha il potere di approvare una eventuale estensione della deadline del 31 ottobre.

IL VOTO DELLA CAMERA DEI COMUNI E L’ESTENSIONE FINO AL 31 GENNAIO

Con il nuovo accordo, la deadline del 31 ottobre, data in cui la Brexit già due volte posticipata sarebbe dovuta accadere, sembrava nuovamente a portata di mano. Così il 19 ottobre la Camera dei Comuni si riunisce per discutere il Withdrawal agreement, nella prima seduta parlamentare tenuta di sabato dai tempi della guerra delle Falkland. Si preannunciava una giornata storica, cruciale. Si è rivelata, invece, una poco eclatante presa di tempo.

Il piano del premier Johnson era che i parlamentari si pronunciassero sulla totalità dell’accordo tramite un meaningful vote, un assenso complessivo e generico all’accordo fra Regno Unito e UE, precedente l’approvazione della legislatura necessaria allegata. La Camera dei Comuni, tuttavia, ha approvato con 322 voti a favore e 306 contrari un emendamento di rinvio del meaningful vote (emendamento Letwin). Le ragioni di questo voto sono di natura prevalentemente tecnica e precauzionale, piuttosto che un giudizio politico di bocciatura dell’accordo in sé. I parlamentari temevano infatti che l’approvazione dell’accordo tramite meaningful vote non sarebbe stata sufficiente a prevenire il no-deal: dopo il voto generale, il Parlamento avrebbe avuto meno di due settimane per approvare una serie di leggi secondarie necessarie per convalidare l’accordo, tempo ritenuto non sufficiente. Le opposizioni temevano inoltre che Johnson potesse far fallire deliberatamente l’approvazione delle leggi secondarie e causare un no-deal de facto.

L’approvazione dell’emendamento Letwin ha quindi fatto crollare la strategia del premier Johnson e reso impossibile il rispetto della deadline del 31 ottobre, avendo attivato il meccanismo anti-no deal previsto dal Benn Act, approvato dal Parlamento lo scorso settembre. Il Benn Act obbligava infatti il Governo britannico a richiedere una estensione all’Ue nel caso un accordo non fosse stato definitivamente approvato entro il 19 ottobre. Il premier, deciso più che mai ad ottenere la Brexit entro fino ottobre, ha cercato di opporsi all’attivazione del Benn Act chiedendo un nuovo meaningful vote il lunedì 21 ottobre. Inoltre, oltre alla richiesta ufficiale di estensione inviate il 19 ottobre, Johnson ha inviato anche una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio europeo Tusk in cui chiedeva ai leader europei di non approvare la richiesta di estensione, da lui stesso formalmente formulata, dicendosi sicuro di poter ottenere il voto sull’accordo entro il 31 ottobre. Tuttavia, il rifiuto dell’ex-speaker della Camera dei Comuni Bercow di far votare nuovamente il meaningul vote il lunedì 21 ha messo la parola fine alle speranze di Johnson: questo accordo non s’ha da votare. Il destino della Brexit, oscillante tra no-deal ed estensione, rimaneva quindi nelle mani del Consiglio europeo.

I leader europei, pur non mettendo seriamente in discussione la possibilità di concedere un’ulteriore estensione, hanno discusso per più di una settimana sulla durata e tipo di estensione più opportuna. Pur essendoci consenso sul fatto che uno scenario no-deal avrebbe risultati negativi non solo per il Regno Unito, ma anche per l’Unione stessa, il prolungamento della Brexit ha anche delle ripercussioni negative sul lungo termine, richiedendo ulteriori e prolungate energie su una questione dei risultati dubbi e con implicazioni negative in termini di immagine. Il 28 ottobre infine, i leader europei si sono accordati per una estensione fino al 31 gennaio, declinandola come un “rinvio flessibile”, che permetta al Regno Unito di uscire dall’Unione non appena approvato e finalizzato il Withdrawal Agreement.

Dopo più di tre anni dal referendum con cui il regno Unito ha deciso di lasciare l’UE, la Brexit è tornata in cima alle pagine dei giornali, riservando colpi di scena e novità, prima di scivolare nuovamente nella sua comfort zone, la procrastinazione. Tuttavia, i recenti sviluppi avranno importanti conseguenze, sia per il Regno Unito che per l’Unione.

Marco Gerbaudo

FONTI:

DOVE ERAVAMO RIMASTI?

Beta Italia: https://italy.beta-europe.org/2018/12/05/dossier-brexit-luce-in-fondo-al-tunnel/

European Commission: https://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-18-6422_it.htm

Il Sole 24 Ore: https://www.ilsole24ore.com/art/brexit-may-non-chiedera-rinvio-lungo-bruxelles-ABxnJ7fB

Independent: https://www.independent.co.uk/voices/brexit-deal-vote-latest-boris-johnson-letwin-amendment-parliament-a9163121.html

Internazionale: https://www.internazionale.it/opinione/2018/07/20/secondo-referendum-brexit

Le Figaro: https://www.lefigaro.fr/international/avec-boris-johnson-les-hard-brexiters-prennent-le-pouvoir-20190725

The Guardian: https://www.theguardian.com/world/2019/mar/29/brexit-as-parliament-votes-again-what-happens-next

The New York Times: https://www.nytimes.com/2019/07/24/world/europe/britain-johnson-may-prime-minister.html

Twitter: https://twitter.com/JunckerEU/status/1184764705384124416

IL NUOVO ACCORDO

Askanews: http://www.askanews.it/esteri/2019/10/17/laccordo-sulla-brexit-spiegato-top10_20191017_173324/

BBC: https://www.bbc.co.uk/newsround/14118775

BBC: https://www.bbc.com/news/uk-politics-50079385

Corriere : https://www.corriere.it/esteri/cards/dal-confine-irlandese-expat-brexit-ecco-che-cosa-cambia/eccezione-belfast-che-si-allontana-londra_principale.shtml

EU news : https://www.eunews.it/2019/10/17/irlanda-del-nord-nellue-nel-regno-unito-trovato-accordo-brexit-ordinata/122076

European Commission: https://ec.europa.eu/commission/brexit-negotiations/negotiating-documents-article-50-negotiations-united-kingdom_en

Il manifesto: https://ilmanifesto.it/il-bluff-di-johnson-brexit-verso-il-no-deal/

Politico.eu: https://www.politico.eu/article/the-brexit-deal-explained-2/

Politico.eu: https://www.politico.eu/article/uk-to-set-out-final-offer-brexit-plans-on-wednesday/

Repubblica: https://www.repubblica.it/esteri/2019/10/17/news/brexit_gli_unionisti_del_dup_affondano_l_accordo_non_possiamo_sostenerlo_-238762334/

Reuters: https://www.reuters.com/article/us-britain-eu-backstop-explainer/irelands-brexit-backstop-and-why-it-matters-idUSKCN1LZ1VR

The Guardian: https://www.theguardian.com/politics/2019/oct/02/two-borders-four-years-what-boris-johnson-brexit-offer -

The Guardian: https://www.theguardian.com/politics/ng-interactive/2019/oct/18/how-much-johnson-great-new-deal-actually-new

IL VOTO DELLA CAMERA DEI COMUNI E L’ESTENSIONE FINO AL 31 GENNAIO

Il Post: https://www.ilpost.it/2019/10/20/johnson-rinvio-brexit/

Metro: https://metro.co.uk/2019/03/29/meaningful-vote-actually-mean-9060923/

Politico.eu : https://www.politico.eu/article/john-bercow-disallows-second-vote-on-brexit-deal/

Politico.eu: https://www.politico.eu/article/eu-agrees-to-january-31-brexit-extension/

Sito del Parlamento Britannico: https://www.parliament.uk/business/news/2019/october/parliament-sits-on-a-saturday-to-debate-the-prime-ministers-proposed-brexit-deal/

Telegraph: https://www.telegraph.co.uk/politics/2019/10/19/benn-act-will-boris-johnson-forced-request-brexit-extention/

The Guardian: https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/sep/03/no-deal-brexit-crashing-out-uk-europe

The Guardian: https://www.theguardian.com/politics/ng-interactive/2019/oct/19/brexit-deal-how-did-your-mp-vote-on-the-letwin-amendment

CREDITS:

Immagine copertina: foto di Tumisu

Immagine 1: Wikimedia Commons

Immagine 2: foto di Jannes Van den wouwer

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