DOSSIER - Il Brasile di Bolsonaro: una minaccia all’ecosistema amazzonico

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Le dichiarazioni di Jair Bolsonaro, neopresidente del Brasile, non lasciano presagire nulla di buono per il futuro della Foresta Amazzonica. Danneggiare il “polmone verde della Terra” potrebbe portare a danni irreparabili, non solo per il paese, ma per l’intero ecosistema nel nostro pianeta.

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Il Brasile ha scelto: dalla sera del 28 ottobre Jair Bolsonaro è il nuovo presidente eletto del 5° Paese al mondo per estensione. Il suo mandato inizierà il primo gennaio 2019, ma l’eco dei risultati delle elezioni brasiliane rimbomba già in tutto il mondo; le preoccupazioni più grandi riguardano soprattutto la foresta amazzonica, il “grande polmone verde” della Terra.

Il neo eletto Presidente ha infatti rilasciato pesanti dichiarazioni sulle politiche ambientali che intende attuare nei confronti della foresta amazzonica e la reazione della comunità internazionale è di preoccupazione e allarme, considerando i drastici dati raccolti dagli studiosi dall’inizio della campagna elettorale. La minaccia nei confronti dei progressi fatti dal Brasile negli ultimi anni in termini di coscienza ambientale e di legislazione correlata è ora più concreta e pericolosa che mai.

Da tempo il Paese gioca infatti un ruolo di spicco nell’arena internazionale in tema di tutela dell’ambiente, basti pensare al fatto che due delle più importanti conferenze mondiali al riguardo si sono svolte proprio in Brasile: il Summit della Terra, nel 1992, tenutosi a Rio e base per il successivo Protocollo di Kyoto, e la conferenza Rio+20, organizzata proprio per celebrare i vent’anni dal precedente summit.

È però soprattutto in campo domestico che il Paese ha fatto i passi più importanti. In particolare, è necessario ricordare la creazione dell’IBAMA (Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováveis), agenzia federale parte del Ministero dell’Ambiente, nata nel 1989 con il preciso scopo di preservare e tutelare l’ambiente e le risorse naturali brasiliane attraverso l’implementazione della National Environmental Policy del 1981.

Proprio questo istituto è stato negli ultimi giorni oggetto del fuoco diretto del neo leader, che pretende maggiore flessibilità nelle politiche ambientali e soprattutto un netto taglio alle multe imposte in caso di violazioni delle norme vigenti. Fa certamente sorridere, in seguito a queste dichiarazioni, notare che lo stesso Bolsonaro deve tuttora oltre duemila dollari all’agenzia per attività di pesca illegale in località protetta nel 2012. Il lavoro dell’IBAMA è stato etichettato dal Presidente come un ostacolo allo sviluppo del Paese e le sue regolamentazioni sono state accusate di soffocare ingiustamente i lavoratori del settore agricolo e dell’allevamento. Proprio questi ultimi sono i maggiori supporters di Jair Bolsonaro e hanno accolto le sue dichiarazioni come un via libera ad attuare con qualche mese di anticipo le promesse elettorali.

L’innalzamento del livello di deforestazione durante i periodi di campagna elettorale in Brasile è purtroppo ormai una triste costante, imputabile soprattutto ai politici locali in cerca di consensi, che fondano i loro programmi sul rendere meno vincolante la legislazione in campo ambientale e promettendo la conversione di zone protette in terreni agricoli. Con l’ascesa al potere di Bolsonaro la situazione si è aggravata in maniera preoccupante.

Come si è visto infatti, durante la sua campagna il neo eletto Presidente ha apertamente condannato lo sforzo brasiliano in tema di sensibilità ambientale, definendolo eccessivo e un ostacolo alla crescita economica. I risultati di questa narrativa denigratoria sono più che allarmanti: nei mesi tra luglio e ottobre 2018 (nel pieno della campagna elettorale), è stato registrato un incremento di quasi il 50% (48.8%) nel tasso di deforestazione dell’Amazzonia. Parliamo di 1.674 chilometri quadrati di foresta andati distrutti (una superficie pari a circa 239 campi da calcio). I dati sono ancora più gravi se si confronta l’innalzamento percentuale del tasso di deforestazione con i dati del 2017: nelle aree più colpite si sono toccati picchi di incremento di oltre il 270%.

Ma questo non sembra preoccupare Jair Bolsonaro: è infatti notizia fresca quella della rinuncia del Brasile ad ospitare l’edizione 2019 della United Nations Climate Change Conference (COP 25).

La motivazione? Tagli al bilancio.

Un pretesto debole, che arriva poche settimane dopo il rientrato allarme delle dichiarazioni successive alla sua elezione, quando il leader politico aveva minacciato di escludere il Brasile dagli Accordi di Parigi, negoziati durante la COP21, e definiti da Bolsonaro una minaccia alla sovranità del Paese. Il Presidente è tornato poi sui suoi passi, rinunciando a ritirare il Brasile dagli accordi, fintanto che questi non ostacoleranno il progresso della nazione.

Una dichiarazione ambigua nelle parole ma non nel significato, gli obiettivi di Bolsonaro sono infatti chiarissimi: favorire la conversione della foresta in terreno per pascoli, allevamenti e coltivazioni, insieme ad un sistematico utilizzo delle risorse minerarie dell’Amazzonia e ad una politica dura verso i territori delle riserve indigene.

L’impronta decisa che il leader brasiliano intende seguire in materia era già stata anticipata in un primo momento anche con la proposta di fondere insieme i due ministeri di ambiente e agricoltura. L’idea è stata poi abbandonata in seguito all’elezione, ma la figura scelta per il ministero dell’agricoltura è comunque significativa della nuova linea politica del Paese.

La persona designata è Tereza Cristina, a capo del Frente Parlamentar Agropecuária (FPA), la lobby rappresentante gli interessi del settore agricolo all’interno del Congresso nazionale.

È stata definita da stampa e oppositori “musa do veneno” per il suo incondizionato appoggio all’abolizione della regolamentazione riguardante l’uso dei pesticidi in Brasile. In particolare si faceva riferimento all’utilizzo del glifosato, il controverso erbicida della Monsanto company. In una dichiarazione alla stampa, Tereza Cristina ha dichiarato che una volta in carica lavorerà per ridurre ulteriormente le restrizioni derivanti dalle norme vigenti in maniera di pesticidi, così come porterà avanti l’obiettivo della conversione all’industria agricola di aree di foresta sempre più ampie.

La foresta amazzonica è quindi sull’orlo di un precipizio e ora più che mai rischia di sprofondare nel baratro: se infatti molti brasiliani sono scettici nei confronti di Bolsonaro e non credono che potrà effettivamente portare a termine i suoi progetti elettorali - tanto da definirlo un gigante con piedi d’argilla - dall’altro lato il tempo per restare in attesa è scaduto.

Jair Bolsonaro, Presidente del Brasile

L’inesorabile degrado a cui la foresta è sottoposta ormai da decenni ha infatti portato a cambiamenti radicali nel suo ecosistema. Negli ultimi 30 anni è stato rilevato un incremento nella presenza di piante resistenti alla siccità, tipiche di ambienti secchi e aridi, mentre specie tipiche degli ambienti umidi quali le foreste pluviali sono invece in declino.

Non si tratta di un semplice cambiamento di paesaggio: l’Amazzonia, attraverso il ciclo idrologico, produce oltre la metà delle sue piogge annuali. Come spiega Carlos Nobre (Università di Sao Paulo, Institute for Advanced Studies), una singola molecola di vapore acqueo può essere riciclata da 5 a 7 volte prima di abbandonare il sistema. La foresta è quindi una variabile fondamentale nella stabilità dell’ecosistema; una riduzione nelle precipitazioni potrebbe compromettere il delicato ambiente pluviale, ancor di più se unita alle illegali ma diffuse attività di disboscamento. Una delle prime conseguenze riguarderebbe la riduzione della disponibilità di scorte d’acqua non solo alle città brasiliane ma a tutta la regione.

Diversi studi hanno confermato che se dovessimo arrivare a una perdita pari al 25% dell’estensione originale della foresta, si innescherebbe un automatico meccanismo di transizione ad un ecosistema totalmente differente, arido e secco, simile a quello della savana, condannando alla scomparsa la foresta amazzonica come la conosciamo. Secondo le stime del governo brasiliano, ad oggi è già andato perduto circa il 17% della foresta. La riduzione e il prosciugamento dell’Amazzonia non sono e non devono essere considerati solo un problema brasiliano, ma mondiale: la foresta amazzonica con i suoi 5.5 milioni di chilometri quadrati di estensione è uno dei più grandi “depuratori d’aria” naturali del mondo, comprometterlo significa significherebbe automaticamente anche un minore assorbimento di CO2. Invece di rilasciare ossigeno, la futura “savana amazzonica” potrebbe iniziare a rilasciare i gas serra immagazzinati, con conseguenze gravissime per tutto il pianeta.

Davanti a questi dati preoccupanti la comunità internazionale non può rimanere silente, ma deve agire subito, prima che la situazione venga irrimediabilmente compromessa.

Diventa quindi un esempio da seguire quello della Francia, che a novembre ha dato il via ad una nuova strategia nazionale di lotta alla deforestazione. Il Paese intende bloccare l’importazione di tutti i prodotti legati a forme di agricoltura non sostenibile entro il 2030. Significativo anche l’invito all’Unione Europea a seguire l’esempio: essendo uno dei maggiori attori sulla scena economica globale, l’UE ha il compito di agire da esempio e adottare misure per ridurre il proprio impatto sulla deforestazione.

Diversi Stati membri, insieme alla Francia, hanno chiesto l’intervento della Commissione europea sul tema, così da poter lavorare già dalla fine dell’anno ad un piano comune in materia e assicurare quindi l’effettivo ruolo dell’Unione nella lotta al cambiamento climatico e alla deforestazione. I traffici commerciali sono infatti l’arma più potente a disposizione dei Paesi europei nei confronti del Brasile di Bolsonaro. Il presidente non potrà restare indifferente in futuro se si registrerà un netto calo nell’esportazione dei prodotti, figli della sua indiscriminata politica di deforestazione, verso il suo secondo più importante partner commerciale.

L’Unione può quindi essere una pedina fondamentale nella lotta al cambiamento climatico e nell’opposizione alla nuova scellerata linea politica brasiliana, in quanto attore economico di rilievo sul palcoscenico mondiale, ma deve agire fin da subito e con determinazione. Soprattutto è necessario che operi in maniera concertata, non solo tramite singole iniziative degli Stati membri, così che i suoi progetti possano davvero avere un’eco mondiale e ispirare una spirale di cambiamento e una maggiore coscienza ambientale di respiro globale.

FONTI:

  1. 29/10/2018: Brazil elects Bolsonaro, who has threatened Amazon and global climate efforts
  2. 29/10/2018: Brazil’s choice is a matter for the planet
  3. 14/11/2018: Bolsonaro’s deforestation of the Amazon has already begun
  4. 14/11/2018: France aims to ban deforestation imports by 2030