Il dibattito tra Francia e Africa: un patrimonio da restituire?

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Il Presidente Macron ha recentemente dichiarato di voler restituire ai paesi africani tutte le opere d’arte che attualmente si trovano sul territorio francese. Queste affermazioni hanno creato i presupposti per un tormentato dibattito artistico-politico, che sta infiammando la Francia proprio in queste settimane.

museo del quai Branly, museo delle arti primitive o delle arti e civiltà d'Africa, Asia, Oceania e Americhe

Nell’immagine: Museo del quai Branly, il museo delle arti primitive o delle arti e civiltà d’Africa, Asia, Oceania e Americhe di Parigi

Di recente Emmanuel Macron, in seguito ad alcune controverse dichiarazioni, ha aperto un dibattito politico-artistico che potrebbe avere assurdi risvolti. In seguito alla sua visita politica il 28 novembre 2017 a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, il Presidente francese ha promesso di riconsegnare ai paesi africani le opere d’arte a loro sottratte dalla Francia. Queste affermazioni si sono poi trasformate in un vero e proprio progetto, che sta ormai prendendo una reale forma. Esso prevede che la Francia restituisca entro 5 anni le opere africane ospitate nei musei Francesi. Alcune saranno restituite in maniera definitiva, altre, invece, saranno “prestate” solo per un determinato periodo . La maggior parte (se non la quasi interezza) delle opere d’arte dell’intero continente africano si trovano attualmente al di fuori dello stesso, poiché sottratte ai suoi abitanti durante i decenni del colonialismo.

Se il progetto francese andasse realmente in porto, un’accesa diatriba artistico-politica potrebbe infiammare la Francia. Una prima fazione sarebbe composta dai sostenitori del rimpatrio delle opere d’arte, motivati proprio dal fatto che la maggioranza dei prodotti artistici africani sono situati ovunque tranne che nel continente d’origine. Questo impedisce alle varie popolazioni di poter godere della propria cultura artistica e di conoscere davvero la loro storia estetica.

Un’argomentazione contraria al rimpatrio, sostenuta invece dal secondo blocco, potrebbe risiedere nella scarsa qualità delle cure a cui le opere sarebbero sottoposte nei paesi africani, conseguenza della mancanza di strumenti e politiche idonei alla loro tutela. Infatti le capitali del continente hanno musei spesso inadeguati al corretto mantenimento delle opere che ospitano, soprattutto se paragonati alla maestosità e alla tecnologia delle gallerie europee.

Il secondo problema riguarda invece la fragilità dei governi africani, concentrati, da sempre, su questioni impellenti, quali l’instabilità politica e le guerre civili, più che alla tutela del patrimonio artistico. Questo pone delle enormi preoccupazioni circa la possibilità che le opere non ricevano trattamenti adeguati per la loro corretta conservazione (soprattutto se si pensa al mercato dei contrabbandieri, molto diffuso in Africa).

In realtà, il punto più spinoso del dibattito risiede proprio nel “nocciolo” del ragionamento di Macron. Infatti, se mai dovesse esserci davvero una restituzione di opere d’arte da parte di uno stato, si creerebbe un ambiguo precedente internazionale. Se pensiamo ai musei più importanti al mondo, (British Musem, Moma, Louvre) notiamo immediatamente che essi non espongono “solo” opere di autori nazionali, ma in generale pittori, scultori e fotografi provenienti da ogni angolo del globo. Se questi musei si privassero degli artisti non nazionali, si svuoterebbero.

La combinazione di antichità e modernità, **di opere proveniente da luoghi diversi e lontani, permette di creare una **visione molto più ampia e completa di quella che è la cultura delle popolazioni del mondo, sensibilizzando in questo modo il visitatore. Inoltre promuovere l’idea che l’arte non appartenga solo al popolo che l’ha creata, significa dare un valore esteso alla stessa, non riducendola a un concetto “nazionale”. Le opere d’arte raccontano e rappresentano la storia e le tradizioni di un popolo, ma la creatività umana merita di essere condivisa in tutte le sue forme ed in tutti i contesti, senza limitazioni alcune. Allo stesso tempo, però, i paesi africani sono relegati a essere solo visitatori delle loro stesse opere, non potendo esserne curatori o studiosi. Le comunità depredate hanno sempre gli strumenti giuridici dei tribunali internazionali per poter far sentire la propria voce, solo il tempo, dunque, potrà rivelarci l’esito di questa turbolenta vicenda.

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