Perché l’economia italiana non cresce più?

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Una breve panoramica sulle difficoltà che l’economia italiana sta affrontando da qualche decennio a questa parte.

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Telegiornali, quotidiani, radio. Ne parlano tutti.

L’Italia, ancora una volta, si ritrova a dover lottare per la sopravvivenza economica. Il confronto con gli altri paesi della zona Euro è impietoso: dagli anni ‘80 ad oggi il nostro è uno dei pochi Stati che non ha saputo riprendersi dalle recenti stangate economiche. Nel terzo trimestre del 2018 la dinamica dell’economia italiana è risultata stagnante: il tasso di crescita del PIL si è assestato allo 0.8%, contro l’1.2% del trimestre precedente.

Solo i paesi dell’Est Europa sono in condizioni più critiche, ma la loro situazione di partenza è completamente diversa. La storica e continua instabilità politica e sociale ha portato questi Stati ad un progressivo indebolimento, incentivando la focalizzazione dei loro sforzi economici sulla ricostruzione delle infrastrutture e sulla cucitura del tessuto sociale.

Allora perché l’Italia non cresce più? Le cause possono essere riassunte in tre punti:

- Politica anti-inflazionistica

Dalla fine degli anni 70’ il Bel Paese ha cercato di stabilizzare i propri tassi di cambio [1] rispetto a quelli dei paesi concorrenti ed il modo più efficace per riuscirci era assicurarsi che i tassi d’inflazione (cioè la variazione del potere d’acquisto della moneta) italiani fossero in linea con quelli degli altri Stati. Si è lasciato dunque che fosse una banca a decidere per la politica monetaria italiana [3], una realtà che fosse in grado di garantire una maggiore stabilità e sicurezza: la Deutsche Bank, la banca leader della Germania, lo Stato con il PIL più alto dell’Unione Europea. Questa decisione ha comportato la perdita dell’autonomia in ambito monetario e gravi danni a tutta l’economia italiana. La Deutsche Bank si è sempre occupata ditrovre soluzioni per migliorare l’economia tedesca, non quella italiana, e aveva tutte le ragioni per farlo.

Si è sfociati dunque in un aumento dei tassi d’interesse che, nel giro di 10/15 anni, ha portato a sua volta ad un rapporto debito/PIL superiore al 100%. In altre parole, la famiglia italiana media si è trovata ad avere un potere d’acquisto più limitato e lo Stato Italiano si è invece impoverito, a fronte di una crescente evasione fiscale ed una minor volontà degli investitori esteri di puntare sui titoli italiani.

[1] Tasso di cambio: numero di unità di moneta estera che possono essere acquistate con un’unità di moneta nazionale

[2] Tasso di inflazione: la variazione del potere d’acquisto della moneta

[3] Politica monetaria: è l’insieme degli obiettivi, strumenti e interventi adottati da uno Stato, per modificare e orientare la moneta, il credito e la finanza, al fine di raggiungere obiettivi prefissati di politica economica, di cui la politica monetaria fa parte

- Mercato del lavoro

Per anni l’Italia ha cercato di trarre spunto dai fattori di crescita economica degli stati concorrenti per migliorare la propria condizione e, notando che negli anni ‘80 il Paese più in crescita era gli Stati Uniti, si è cercato di trarre spunto dal loro modello organizzativo di lavoro.

Seguire l’esempio statunitense ha portato l’Italia a deregolamentare il mercato del lavoro, passando così dai contratti a tempo indeterminato a quelli a tempo determinato e a progetto.

Le aziende hanno avuto una sovrabbondanza di lavoratori, poiché il mercato era saturo. Questo ha permesso loro di abbassare il livello medio degli stipendi e produrre di più, il tutto con spese complessivamente inferiori. Ma per leggere questa situazione nella sua completezza è necessario anche guardare al rovescio della medaglia.

Se da un lato si sono agevolate le assunzioni, infatti, dall’altro si è visto un incremento dei licenziamenti e un crescendo della domanda di lavoro. Nonostante fossero fissati su un livello già minimo, i salari continuavano a diminuire di anno in anno, permettendo alle aziende di ottenere opportunità lavorative a basso costo, assumendo dipendenti sottopagati. Le aziende hanno privilegiato la quantità di lavoro a discapito della qualità. Il basso costo a discapito degli investimenti in ricerca e sviluppo, portando ad una riduzione del tasso di crescita della produttività.

- Welfare state

L’Italia, rispetto al resto per paesi della zona Europea, è arrivata tardi a porsi il problema dello Stato Sociale (Welfare State). Per Welfare state si intende uno Stato in grado di garantire “assistenza sanitaria, pubblica istruzione, indennità di disoccupazione, sussidi familiari e previdenza sociale.” Questo portò ad una condizione precaria nel nostro paese: l’assistenza sanitaria era ridotta al minimo e la pubblica istruzione allo sbando.

L’arrivo tardivo di misure specifiche inerenti al benessere dei cittadini ha comportato un progressivo peggioramento della situazione generale ed un crescente disavanzo tra classi sociali. I primi tentativi operati in questo senso hanno condotto ad un generale squilibrio, poiché sono stati esclusi due elementi fondamentali: donne e giovani. L’incapacità di avere uno stato sociale in grado di includere tutti ha portato ad una bassa partecipazione di queste due categorie di persone, generando così meno reddito e meno fondi per lo Stato.

Attualmente di sta cercando di eliminare questa discriminazione sulla scia degli stati sociali più evoluti al mondo, quelli dei paesi del nord Europa (Finlandia, Svezia, Norvegia).

Anche se la strada è ancora lunga, la speranza è l’ultima a morire.

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