Science for peace: il ruolo del nucleare in Italia

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Nell’ultima edizione di Science for Peace, il congresso organizzato dalla Fondazione Umberto Veronesi, si è parlato di nucleare ed in particolare dell’azione svolta nel nostro paese dall’ICAN, International Campaign to Abolish Nuclear Weapons.

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Lo scorso novembre si è tenuta, presso l’Università Bocconi di Milano, la decima edizione del congresso mondiale Science for Peace, un evento organizzato dalla Fondazione Umberto Veronesi. Il progetto, ideato proprio dal Dott. Umberto Veronesi, ha l’obiettivo di riunire protagonisti del panorama scientifico e non solo (sono infatti chiamati a partecipare anche esponenti della cultura e delle istituzioni), per discutere di come la scienza possa e debba impegnarsi per costruire un mondo di pace. Il tema di quest’ultima edizione era “Disuguaglianze globali”.

Nella prima giornata è intervenuta, durante i saluti iniziali, Susi Snyder, presidentessa dell’ICAN. Il suo intervento è stato così intenso ed interessante che ha ricevuto diversi minuti di applausi, ed è stato a mio parere uno dei contributi più significativi della giornata.

L’ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) è un’organizzazione non governativa che dal 2007 opera per la messa al bando delle armi nucleari. L’Italia, già negli anni Settanta, si era pronunciata a favore di tale iniziativa e aveva firmato un accordo per la non proliferazione delle armi atomiche.

Il nostro paese si espresse, di fatto, contro il nucleare e la costruzione di centrali atomiche anche in occasione del referendum popolare del 1987, dopo che l’esplosione della centrale di Cernobyl l’anno precedente aveva scosso l’opinione pubblica. Tutto questo accadeva parallelamente al tramonto dello storico conflitto tra USA e URSS, la Guerra Fredda.

Nonostante la tensione tra questi due grandi stati si sia molto acquietata col trascorrere degli anni, l’Italia, in quanto membro NATO, permette ancora alle basi militari americane presenti nel nostro territorio di tenere nelle loro sedi delle bombe atomiche.

Qualche anno fa, un’inchiesta della rivista L’Espresso, avvallata da una ricerca della Federazione degli scienziati americani (FSA), ha documentato come in Italia siano presenti tra le 70 e le 180 unità di ordigni nucleari statunitensi. I due governi non hanno mai confermato o smentito tale ricerca, ma le prove recuperate dall’associazione, come la presenza di veicoli NATO specializzati per il trasporto di ordigni atomici e una speciale unità dell’esercito americano che si occupa nello specifico di questo tipo di bombe, fa pensare che quelle riportate dall’inchiesta non siano semplici supposizioni.

Secondo il presidente della FSA, in Italia, sarebbero presenti due tipi di bombe: la B61-4, con potenze da 0.3 a 50 kiloton e la B61-3, con potenze da 0.3 a 170 kiloton; questi ordigni hanno una potenza di ben 11 volte maggiore rispetto a quelli sganciati sulla città giapponese di Hiroshima. La presenza sul territorio nazionale di queste testate nucleari non solo pone preoccupazione sulla salute umana, ma rappresenta anche un elevato onere per le casse dello Stato, che deve infatti occuparsi della messa in sicurezza dei depositi impegnando cifre tutt’altro che trascurabili. Nel mondo, in un singolo minuto, 25 milioni di lattine di Coca Cola vengono consumate, nascono 258 bambini, 58 aeroplani decollano e 70 000 dollari vengono spesi per gli armamenti nucleari. Tutto questo in appena 60 secondi.

L’ICAN per il suo costante impegno nella lotta contro le armi nucleari ha ricevuto nel 2017 il Nobel per la Pace, a riconoscimento del valore della sua missione. Dopo innumerevoli campagne di sensibilizzazione sul tema i rappresentanti dell’ICAN sono riusciti, nel luglio precedente, a far votare nel palazzo di cristallo dell’ONU una risoluzione per la messa al bando delle armi nucleari.

È stato certamente un grande passo della comunità internazionale verso l’abbandono di questo tipo di armamento anche se purtroppo le votazioni sono state disertate dalle grandi potenze che possiedono oggi l’atomica e dalle nazioni che partecipano al patto NATO. La risoluzione è stata infatti votata da solo 124 stati sui 195 riconosciuti dall’ONU. Questa mancata presa di posizione da parte dei paesi che dispongono dell’atomica preoccupa il mondo intero, tant’è vero che l’orologio di Doomsday nel 2018 è stato regolato alle 23.58. Questo strumento immaginario, ideato nel 1947 da un gruppo di scienziati di Chicago, viene anche soprannominato “orologio dell’Apocalisse”. Esso rappresenta quanto, secondo gli scienziati, manca all’apocalisse del genere umano. Lo scoccare della mezzanotte porterebbe alla distruzione del nostro pianeta e degli esseri viventi che lo abitano.

Le armi atomiche hanno sempre scisso l’opinione scientifica, dividendola tra chi sosteneva maggiormente il progresso scientifico e chi sosteneva invece che anche la scienza dovesse avere una sua etica morale. Non è mio il compito di definire quale debba essere il limite della scienza, se debba o possa essercene uno. Ma è oggigiorno evidente come il rapporto tra scienza ed etica risulti sempre di più complicato ed importante.

Qual è quindi il nostro dovere? Siamo figli di una generazione che ha vissuto veramente la paura di un conflitto atomico, a noi il l’incarico di impegnarci ogni giorno per una risoluzione diplomatica delle crisi che permettano finalmente un definitivo smantellamento degli ordigni nucleari come arma di dissuasione e soprattutto di risoluzione dei conflitti.

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