Spetta all’Europa salvare l’accordo sul nucleare

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Ad esattamente un anno di distanza dalla decisione unilaterale degli Stati Uniti di uscire dal JCPOA, anche l’Iran, l’8 maggio 2019, ha annunciato pubblicamente di essere pronto a riprendere le attività nell’ambito del nucleare, interrotte in seguito alla stesura dell’accordo nel luglio del 2015.

Negoziazioni per l’accordo sul nucleare iraniano - il Ministro degli Affari Esteri e altri rappresentati dei P5+1 e il Ministro degli Affari Europei dell’Iran e dell’UE a Losanna.

Il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) è un’intesa firmata tra l’Iran e i paesi del cosiddetto 5+1, gli Stati che hanno potere di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (USA, Cina, Francia, Russia, Regno Unito) e la Germania e prevede una riduzione delle scorte di uranio (da 10.000 a 300 kg) per ciascun paese, imponendo anche un limite all’arricchimento dello stesso (massimo 3.7%, soglia molto al di sotto del 90% necessario per la produzione di una bomba nucleare). Tutti i firmatari sono ovviamente soggetti a controlli periodici, per la verifica dell’effettivo rispetto degli accordi e, in caso di violazione, è prevista la reintroduzione delle sanzioni economiche, precedentemente rimosse dai vari paesi nei confronti dell’Iran proprio in occasione della firma dell’accordo.

L’intesa fra i vari paesi fu raggiunta con non poche difficoltà e fu considerata “imperfetta” fin dal principio. Da un lato, infatti, non forniva garanzie sul fatto che l’Iran non sarebbe entrato mai più in possesso della tecnologia nucleare (pur rendendo molto difficile che riuscisse, almeno nel breve periodo) e dall’altro non eliminava tutte le sanzioni che gravavano nei confronti di Teheran, mantenendo in vigore quelle imposte per l’appoggio a gruppi terroristici come il libanese Hezbollah.

L’insoddisfazione iraniana, latente durante il momento della firma, crebbe quando gli Stati Uniti, senza una apparente motivazione valida, decisero di lasciare l’accordo (provvedimento divenuto effettivo nel novembre 2018). A questo episodio seguì la reintroduzione di alcune sanzioni proprio da parte statunitense, scelta che non rimase priva di conseguenze per l’economia del paese: in seguito all’abbandono degli Stati Uniti il valore del riyal, moneta locale, è calato ai minimi storici e l’inflazione si è invece quadruplicata.

Non solo l’Iran, ma anche i paesi europei si trovarono ad affrontare le ripercussioni del gesto. Gli USA, infatti, prevedono l’extraterritorialità per le proprie sanzioni: esse devono essere rispettate da qualsiasi società, ovunque essa abbia sede, qualora essa abbia succursali in territorio americano, sia controllata da americani o utilizzi i dollari per effettuare le transazioni (pressoché la totalità dei casi). Una completa cessazione delle transazioni tra Europa e Asia con l’Iran avrebbe portato ad uno shock nel mercato globale dell’energia, rischiando di far crescere esponenzialmente il prezzo del petrolio, oltre a provocare la definitiva uscita dell’Iran dall’accordo sul nucleare, vanificando così tutti gli sforzi fatti in precedenza.

Per tamponare la situazione gli USA lo scorso novembre concessero ad otto paesi (Italia, Grecia, Cina, India, Corea del Sud, Giappone, Turchia e Taiwan) di proseguire con le importazioni di petrolio iraniano e, nel frattempo, Francia, Germania e Regno Unito si impegnarono per escogitare un nuovo meccanismo, aperto a tutti i paesi europei e non: il SVP (Special Purpose Vehicle). L’intenzione era quella di riuscire, grazie a questo strumento, ad aggirare i paletti statunitensi e proseguire così con gli scambi commerciali con Teheran.

Era solo però questione di tempo prima che la situazione precipitasse. Lo scorso 22 aprile il segretario USA Mike Pompeo annunciò che le concessioni sull’acquisto del petrolio iraniano rilasciate agli otto paesi non sarebbero state rinnovate. La Casa Bianca compì così un altro importante passo nel proseguimento della politica di “massima pressione” adottata con costanza nei confronti di Teheran, il cui fine è quello di portare il paese ad una rinegoziazione dell’accordo sul nucleare, più favorevole per gli Stati Uniti. Secondo il Consiglio supremo di sicurezza nazionale, la recente reazione dell’Iran sarebbe giustificata: risulta infatti che, con la reintroduzione di sanzioni economiche, gli Stati Uniti abbiano violato l’articolo 26 del JCPOA, legittimando Teheran a cessare parzialmente l’adempimento dei suoi doveri previsti dall’accordo.

Secondo gli esperti dell’ISPI, il messaggio lanciato dal Presidente iraniano, Hassan Rohani, non deve essere interpretato come una volontà di abbandonare definitivamente l’accordo sul nucleare, ma piuttosto come una decisa risposta alla già citata politica di massima pressione imposta dagli USA, un modo per lanciare un forte messaggio all’Unione Europea e alla comunità internazionale. L’annuncio di Rohani vuole anche imporre un ultimatum ai paesi del JCPOA: entro 60 giorni dal momento dell’annuncio essi sono chiamati a trovare un modo per rispettare gli impegni presi con l’accordo e, in particolare, tornare ad acquistare il petrolio iraniano tramite transazioni dirette (cosa che invece non avviene con l’SVP). Più che una pura minaccia, dunque, il gesto iraniano sarebbe più da interpretare come un modo energico e dirompente di far sentire la propria voce in un momento di enorme difficoltà per la sua economia (le esportazioni di petrolio rappresentano infatti il 70% delle esportazioni totali del paese) ricordando però, nel frattempo, le armi a propria disposizione, lasciando comunque aperta la via diplomatica.

A questo punto la linea degli Stati Uniti sembra ben definita, resta quindi da verificare come riuscirà l’Unione Europea a reagire, nel tentativo di salvare la situazione. L’UE ha già mostrato in più occasioni la volontà di preservare l’accordo, dichiarandosi anche contraria all’uscita unilaterale statunitense lo scorso anno, ma è di fatto priva di poteri concreti (non può obbligare aziende interne ad ignorare le richieste di Washington né possiede un’autonomia economica tale da essere immune dalle minacce americane). Limitarsi a disapprovare le azioni degli USA, trovando delle scappatoie alle imposizioni economiche, potrebbe questa volta non rivelarsi sufficiente.

https://www.agi.it/estero/iran_sanzioni_nucleare-5452276/news/2019-05-08/

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sanzioni-usa-sul-greggio-iraniano-colpo-teheran-o-alleconomia-mondiale-22919

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/iran-e-nucleare-ultimatum-allunione-europea-23031

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/iran-tornano-le-sanzioni-sul-petrolio-quali-conseguenze-21548

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/iran-tornano-vigore-le-prime-sanzioni-usa-21095

https://www.ilpost.it/2019/05/08/iran-parziale-ritiro-accordo-nucleare/

https://www.ilpost.it/2019/02/02/meccanismo-europeo-aggirare-sanzioni-statunitensi-iran/

https://www.ilpost.it/2019/05/08/trump-sanzioni-iran/

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