Perché la crescita economica italiana si è fermata? Forse non è mai iniziata

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Uno sguardo al passato della situazione economica italiana per indagare le origini delle problematiche che affliggono attualmente il nostro Paese.

In un’epoca devastata dall’instabilità politica, sembra che il concetto di crescita economica si sia perso tra i corridoi del Quirinale, come una qualsiasi monetina gettata nella Fontana di Trevi.

Per nostra fortuna, ci sono persone il cui lavoro è quello di raccogliere le monetine tirate da ignari turisti in segno di buon auspicio e destinarle ad opere e progetti concreti. Ciò purtroppo non accade nel nostro paese quando emerge la necessità di agire per risolvere lo stato di stagnazione dell’economia nazionale.

Secondo l’ultimo bilancio dell’Unione Europea, l’Italia è ultima per quanto riguarda crescita, investimenti e occupazione. Infatti, nel 2019 l’Italia presenta un tasso di crescita pressoché nullo, come ben illustrato dal PIL fermo allo 0,1%, seguita solo dalla Germania (0,5%). È anche l’unico Paese UE dove gli investimenti sono negativi sull’anno precedente: -0,3%. Se si pensa che la media EU è di 2,3%, si capisce subito che c’è qualcosa che non torna. Anche il tasso di occupazione è negativo (-0,1%), l’unico in UE. Eppure, non è sempre stato così.

Guardare al passato per capire il futuro

Non bisogna nemmeno andare troppo indietro nel tempo per vedere una situazione decisamente migliore, basta analizzare il quadriennio 2015-2018. Il PIL della nostra economia era aumentato del 4,6% rispetto agli anni precedenti.

Questo improvviso miglioramento è stato dettato dall’aumento di fondi per l’internazionalizzazione delle imprese, da incentivi in ambito di ricerca e sviluppo e da una serie di riforme mirate, come, ad esempio, il jobs act: la riforma attuata dal governo Renzi che prevedeva una serie di incentivi a vantaggio delle aziende che avessero assunto del personale.

Questa sequenza ha generato un aumento della domanda interna e ha aumentato la competitività dei settori di punta del nostro sistema economico: industria tecnica e manifatturiera.

Un primo impulso c’è stato, il problema vero è stato il non aver continuato su questa linea, il non essere andati a migliorare anche gli altri settori (banche, infrastrutture, etc.…) e il non aver saputo adottare delle contromisure per risolvere un problema noto da anni: il nodo demografico.

Nel periodo compreso tra il 2001 ed il 2014 la popolazione italiana era aumentata di 3,8 milioni di persone, mentre negli ultimi 4 anni è diminuita di 300mila unità, diversamente dalle popolazioni tedesca (+2 milioni dal 2014 al 2018) e francese (+760mila). La decrescita di questo periodo è stata determinata anche da un’inversione dei flussi migratori.

Un paese sempre più anziano dal punto di vista demografico non può che fare fatica nell’aumentare il proprio PIL. La presenza di un elevato numero di persone che si ritrova a lavorare fino a tarda età impedisce ai giovani di entrare in maniera decisa nel mondo del lavoro. Considerando anche il già elevato numero di persone in pensione, viene difficile pensare come, senza un adeguato ricambio generazionale, ci possa essere qualcuno in grado di versare contributi e contribuire alò welfare nazionale.

Invertire la rotta

Per far sì che il nostro paese abbia un domani, c’è bisogno che la classe politica futura e attuale concentri i propri sforzi nell’aumento della domanda nazionale. Storicamente, per aumentare questo fattore, uno stato deve agire in quattro aree nevralgiche del sistema economico:

  • Consumi delle famiglie;
  • Investimenti tecnici delle imprese;
  • Edilizia privata;
  • Opere pubbliche.

Il 2015 è stato l’anno in cui si ha avuto la massima espressione recente di questi fattori. È stato introdotto il bonus degli 80 euro e la riforma sul lavoro(jobs act). Questi fattori hanno contribuito ad aumentare il volume di consumi delle famiglie ed anche gli investimenti in edilizia privata, permettendo alle casse dello stato di respirare e, alle persone, di avere un po’ di stabilità economica.

I fondi extra dovuti a questi incentivi furono girati in investimenti per le imprese ed in opere pubbliche, andando così a contribuire allo sviluppo dello Stato e del suo settore secondario e terziario.

L’instabilità politica e l’indecisione cronica non hanno permesso alle riforme di mostrare pienamente i propri risultati ma, per lo meno, la strada da seguire era quella giusta. Il PIL ed il livello medio di qualità della vita in Italia stavano crescendo, poi il nulla. Le continue elezioni anticipate e l’incapacità cronica del nostro paese di mantenere una guida stabile per, almeno, un mandato ha contribuito a generare instabilità sui mercati internazionali. Gli investitori esteri sono riluttanti ad investire su un paese che non è in grado di mantenere la stessa strategia politico-economica per più di 6 mesi. È come decidere di partecipare ad una corsa di cavalli ed investire 100 euro sul cavallo K, per poi ritrovarsi a metà corsa a vedere investiti i propri soldi sul coniglio K. Il nome non cambia, ma la sostanza sì.

Negli anni 2000, senza investimenti stranieri, difficilmente uno stato sarà in grado di crescere.

Daniele Guadagnolo

FONTI

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Ue-Italia-ultima-per-crescita-investimenti-occupazione-316af141-0fc6-42ab-92fc-13c87812602f.html?refresh_ce

https://www.ilsole24ore.com/art/servono-investimenti-e-consumi-ricominciare-crescere-ABu7SLfB

CREDITS:

Immagine di copertina, Pixabay, autore: janeb13

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