Patrick Zaki arrestato e torturato: l’Italia deve prendere posizione
Patrick George Zaki, giovane ricercatore e attivista, è stato arrestato e torturato dai servizi segreti egiziani con l’accusa di terrorismo e ora rischia fino a 25 anni di carcere. L’episodio rievoca il fantasma di Giulio Regeni e impone con urgenza al nostro Paese di schierarsi in difesa dei diritti umani.
Patrick George Zaki, giovane ricercatore per un’organizzazione che si occupa di diritti umani, lo scorso 7 febbraio è stato arrestato all’aeroporto del Cairo, trattenuto per diverse ore dalle autorità egiziane e infine trasportato alla procura di Mansoura. È stata la stessa procura ad imporre una custodia cautelare di 15 giorni: Patrick resterà in stato di fermo, in balìa della polizia egiziana, almeno fino al 22 febbraio, quando saranno discussi i capi d’accusa contro di lui.
Facciamo però un passo indietro per contestualizzare meglio la situazione: chi è, esattamente, Zaki? Ventisettenne di nazionalità egiziana, Patrick è membro e attivista dell’EIPR (Egyptian Initiative for Personal Rights) e stava ultimando la sua formazione frequentando un master internazionale in Studi di genere a Bologna, città nella quale risiedeva dallo scorso agosto. Una volta completato il diploma post-laurea, l’intenzione del giovane era quella di tornare in patria “per lavorare e migliorare l’Egitto”, racconta Karoline Kamel, amica di Patrick, anch’ella membro attivo dell’EIPR.
Il 7 febbraio il giovane aveva lasciato il capoluogo emiliano per ritornare a Mansoura, sua città natale, e trascorrere una vacanza in compagnia dei familiari, la prima da quando era partito per l’Italia. Nulla, però, è andato secondo le aspettative. Secondo quanto riportato dall’EIPR, immediatamente dopo l’atterraggio al Cairo, Patrick è stato fermato e prelevato dai servizi segreti egiziani, che lo hanno trattenuto per le successive 24 ore senza lasciar trapelare la notizia (non comunicandola nemmeno ai familiari) e senza permettere al giovane di avere contatti con nessuno. In giornata è stato trasferito proprio a Mansoura dove è stato interrogato riguardo al suo ruolo di attivista e, in particolare, riguardo alla sua esperienza e al suo operato in Italia e ai suoi contatti con i parenti di Giulio Regeni. È probabile che l’interrogatorio sia stato condotto con violenza: Patrick ha detto di essere stato sottoposto a minacce, percosse, botte e scosse elettriche e segni di violenza sono stati individuati sul suo corpo.
La mattina di sabato 8 febbraio, infine, Patrick è comparso davanti alla procura di Mansoura per essere nuovamente interrogato; in questa sede gli sono stati finalmente comunicati i capi di accusa: pubblicazione di notizie false con l’intenzione di disturbare la pace sociale, incitamento di proteste contro l’autorità pubblica, sostegno ai tentativi di rovesciamento dello stato egiziano e utilizzo dei social network per minare l’ordine sociale e la sicurezza pubblica, istigando alla violenza e al terrorismo. Dieci in particolare sono stati i post incriminati, ma né Patrick né i suoi avvocati hanno avuto la possibilità di visionarli e per difendersi. “Tutti i capi d’accusa contestati a Zaki - afferma Mina Thabit, responsabile della ONG Egyptian commission for rights and freedoms, con cui Patrick collabora - conducono all’accusa di terrorismo”. Vale a dire, “appartenenza a un gruppo oppure propaganda terroristica”, pretesto di frequente usato dal governo egiziano per incarcerare gli individui considerati potenzialmente pericolosi. Un rapporto rilasciato recentemente da Amnesty International parla di continue violazioni di diritti umani, detenzioni che durano mesi e talvolta anni senza la speranza di arrivare ad un processo, il tutto giustificato dall’emergenza terrorismo e dallo stato di emergenza, che vige nel paese ininterrotto dal 2017.
Pare che dallo scorso settembre un mandato di arresto pendesse su Zaki proprio per questi capi di imputazione, il giovane era però completamente estraneo ai fatti contestati. La procura ha stabilito di prolungare la detenzione per ulteriori 15 giorni (fino al prossimo 22 febbraio, dunque), scelta confermata successivamente il 15 febbraio, quando i giudici della corte di Mansoura in un’udienza di soli 10 minuti hanno rigettato il ricorso per la scarcerazione richiesto dai legali del giovane. A poco sono servite le agghiaccianti testimonianze di Patrick e della sua avvocatessa: il sequestro, la benda sugli occhi, il tempo costretto a rimanere nudo davanti ai carcerieri, le percosse, l’elettroshock. Se durante il processo del 22 febbraio Zaki dovesse essere ritenuto colpevole rischierebbe da 13 a 25 anni di carcere.
L’opinione pubblica italiana ha reagito con forza e sdegno all’episodio, dando alla luce molteplici iniziative pubbliche per chiedere la liberazione di Patrick. Diversi sono i sit-in e le fiaccolate organizzate da Amnesty International in molte città d’Italia, così come tante sono le persone che hanno aderito alla raccolta firme dell’organizzazione internazionale e a quella lanciata da change.org, il celebre sito per le petizioni online. Sempre accogliendo l’appello di Amnesty International la squadra e i tifosi del Bologna hanno deciso di esprimere pubblicamente il proprio sostegno alla causa di Zaki, esponendo striscioni di solidarietà durante la partita contro l’Udinese che si svolgerà il 22 febbraio, in concomitanza con il processo di Patrick in Egitto.
Questi fatti, terribili e dolorosi, non possono che riportare a mente un’altra enorme ingiustizia mai risolta, un caso preoccupantemente simile che risale a soli 4 anni fa, che contribuisce a rendere i cittadini italiani particolarmente sensibili all’episodio. Il ricordo di Giulio Regeni, giovane ricercatore italiano sequestrato, torturato e ucciso in Egitto nell’ormai lontano 25 gennaio 2016 è ancora vivido nella mente dell’opinione pubblica. Sono state fatte ricerche e indagini, si è arrivati ad individuare sospetti e ricostruire i fatti ma per dare concretezza, anche processuale, a questo bagaglio di informazioni raccolte è indispensabile la collaborazione dell’Egitto. Il regime di al-Sisi, invece, non solo continua a latitare e temporeggiare ma ha messo più volte i bastoni fra le ruote alle autorità italiane durante le indagini per la ricerca della verità. Ad oggi, la barbara morte di Giulio è ancora impunita, senza che, di fatto, nessuno in Egitto ne abbia pagato le conseguenze.
Associare i due episodi è inevitabile e il timore che Patrick possa fare la stessa fine di Giulio non è, purtroppo, completamente infondato. Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha assicurato che si siano attivati “tutti i soggetti per conoscere cosa sia successo” e che l’Italia “vuole seguire tutte le fasi del processo a Zaki”. Questa volta, però, delle affermazioni generiche non saranno sufficienti.
“Come si fa a considerare ancora l’Egitto un Paese sicuro?” si è chiesto su Twitter Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. “Il Governo italiano non può continuare a far finta di niente nelle relazioni con un Paese che continua a violare i diritti umani in questo modo”, pertanto “chieda l’immediato rilascio alle autorità egiziane e pretenda spiegazioni in merito all’accaduto”.
Impazienza, impotenza e rabbia sono i sentimenti che sorgono davanti a questi eventi: nonostante l’episodio di Giulio Regeni e le ormai sistematiche ben note violazioni dei diritti umani che si verificano quotidianamente in Egitto, i rapporti tra il nostro Paese e il regime di al-Sisi si sono intensificati e il giro d’affari negli ultimi anni è aumentato, complici l’Eni, l’East Mediterranean Gas Forum e le oltre 130 aziende italiane che operano in Egitto e fatturano 2,5 mld di dollari.
La situazione è evidentemente molto delicata, ma è altrettanto evidente come sia indispensabile che l’Italia in primis (affiancata poi anche dall’Unione Europea) intraprenda una via diplomatica concreta, che prenda atto degli inaccettabili comportamenti del regime egiziano e si schieri esplicitamente contro le violazioni di diritti umani, le torture, i soprusi, le condanne a morte a cui sono quotidianamente sottoposti studenti, giornalisti e chiunque abbia il coraggio di manifestare contro al-Sisi e la corruzione del regime militare da lui sostenuto. Come afferma Ugo Tramballi, giornalista dell’ISPI, (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) l’integrità di un Paese passa in primo luogo dalla credibilità con cui esso conduce la propria politica estera, che deve necessariamente essere coerente con l’immagine che si vuole dare di sé. Insomma,i rapporti con l’Egitto si configurano per l’Italia non solo come una problematica di tipo economico ma anche (e, mi permetto di dire, soprattutto) una questione identitaria, un’occasione di riflessione su quali siano i soprusi che la nostra democrazia non è in grado di tollerare e quali siano, invece, i valori che come Stato vogliamo promuovere e difendere.
Nicoletta Volontè
Link alla raccolta firme di Amnesty International
Link alla petizione su Change.org
FONTI:
https://www.amnesty.it/zaky-attivista-egiziano-a-rischio-tortura-va-scarcerato-subito/
https://www.ilpost.it/2020/02/09/patrick-george-zaki-arresto-egitto/
https://www.open.online/2020/02/15/egitto-zaki-resta-in-carcere-il-ricorso-e-stato-respinto/
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/egitto-patrick-zaky-e-vecchi-fantasmi-25057
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/metodo-regeni-24044
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/verso-unopec-del-gas-mediterraneo-24926
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