Russia: Occidente o Oriente?
Un articolo che ripercorre la storia linguistica, politica e culturale di un Paese che, ancora oggi, si trova a cavallo tra “le due metà” del mondo.
Osservando l’estensione della Federazione Russa, si può notare che il Paese ricopre il 23% del continente europeo ed il 77% di quello asiatico; si trova quindi, da un punto di vista geografico, in una posizione quantomeno ambigua.
Trovare una risposta univoca alla domanda che dà il titolo a questo articolo sembra difficile, proveremo comunque a snocciolare i punti di questa complessa questione nella maniera più completa possibile.
Anche a causa dell’enorme estensione territoriale è difficile capire se la Russia sia un paese europeo o meno e soprattutto, se gli stessi cittadini russi si percepiscano come tali.
Le radici linguistico-culturali
Per comprendere a fondo l’identità di un popolo è necessario non solo conoscerne la cultura, ma anche la lingua. Nel caso della Russia il linguaggio si è modificato molte volte nel corso del tempo, è stato in grado di trasmettere valori culturali e tradizionali che hanno portato alla formazione di un’identità specifica ma, nonostante si riconosca questa azioni “unificatrice”, è comunque possibile affermare che la lingua russa così come è parlata oggi rispecchia l’ambiguità identitaria a cui si è accennato prima.
Prima di tutto, bisogna sottolineare che la lingua russa è una lingua che nasce da un’esigenza ben definita: quella di comunicare il messaggio cristiano in un territorio pagano. Nel IX d.C. i santi Cirillo e Metodio elaborarono, a questo scopo, una lingua basata sul dialetto parlato nella regione di Salonicco (in Grecia) che chiamarono slavo-ecclesiastico, che si delineò ben presto come la “lingua dotta”. “Pertanto, sin dall’inizio la lingua dotta possiede i tratti specifici di un singolo dialetto, distinto dai dialetti delle popolazioni slave che lo adottano. La cosa non appare strana, se si pensa che nel periodo in questione (il periodo dell’unità linguistica dello slavo comune [VII secolo] ) i dialetti slavi si differenziavano assai poco tra loro, (…) così poche modifiche formali bastavano a garantire la piena accettabilità della lingua dotta per i parlanti di qualsiasi dialetto slavo” [1]
Lo slavo-ecclesiastico era soprattutto utilizzato per scopi religiosi: pregare, tradurre testi dal greco e produrre testi propri. Azioni per svolgere le quali non era richiesto usare dialetto parlato nei singoli territori slavi e che quindi erano ad appannaggio esclusivo di questa nuova lingua. Questo utilizzo dello slavo ecclesiastico, oltre ad introdurre all’interno della popolazione dei concetti provenienti dal mondo cristiano derivati dalla cultura bizantina, fece in modo che che questa lingua non fosse percepita come lingua a sé, e, dunque estranea, ma come variante di una lingua già esistente. Questo fenomeno linguisticamente viene denominato diglossia.
Culturalmente la diglossia ebbe un forte impatto nella realtà quotidiana degli slavi, le due lingue, sebbene simili tra loro, rimasero sempre ben distinte negli usi: il dialetto si utilizzava per discutere di politica, di commercio, di questioni private. Perfino i supporti per la scrittura erano differenti: la pergamena era riservata solo alla lingua slavo-ecclesiastica, mentre informazioni in dialetto venivano trascritte su cortecce di betulla.
Con la dissoluzione dell’unità degli slavi e la conseguente invasione dei mongoli, la lingua slavo ecclesiastica cominciò a dissociarsi dalla lingua non dotta arrivando progressivamente ad una situazione che potremmo definire di bilinguismo. Le due lingue erano percepite dai parlanti come a se stanti. Si sollevò, per cui nel XIV secolo, l’esigenza di purificare la lingua dotta dalle influenze colloquiali (il dialetto).
Nel XVII secolo grazie ad una serie di profonde trasformazioni culturali e sociali, si venne a creare quello che Pietro il Grande battezzò come alfabeto civile (1708) che si contrapponeva a tutta quella letteratura religiosa che venne successivamente definita come “ecclesiastica” e che derivava da una trasformazione della lingua dotta. In questo periodo, quindi, oltre agli elementi della cultura cristiana, vennero fatti propri anche elementi del francese e del tedesco, lingue che erano state introdotte dallo stesso Pietro ed utilizzate alla sua corte.
Solo con il Romanticismo, ed in particolare con il poeta Puskin, la lingua russa inizia a definirsi così come è scritta e parlata al giorno d’oggi.
La cosa fondamentale e molto curiosa al riguardo è che, fino alla metà dell’Ottocento, la lingua russa era solo dedicata alla letteratura. Solo con il passare del tempo e in seguito al suo adattamento, il russo ricoprirà anche altri campi – scientifico, pubblicistico, opere ufficiali - che non solo faranno acquisire al parlante nuovi elementi linguistici, ma anche altri valori e modelli culturali.
Questo si verifica in maniera molto netta e profonda durante tutto il periodo comunista, nel quale la lingua russa bandisce tutti i prestiti di altre lingue e crea neologismi propri. Solo con la caduta dell’URSS, i parlanti russi riprendono ad utilizzare prestiti e calchi derivati soprattutto dalla cultura anglo-americana. Un esempio? “FeisBuk” in russo significa “Facebook”!
Concludendo, quindi, capiamo che il russo non è altro che una lingua costruita nel corso del tempo e che si fa carico di tradizioni e culture che le danno un’identità ambigua. Nel repertorio di questo ricco e versatile linguaggio non solo troviamo elementi occidentali (latinismi, grecismi, italianismi, francesismi, germanismi), ma anche elementi orientali (turchismi, giudaismi, sionismi, arabismi) sintomo che questa lingua e quindi l’intera identità russa è un ibrido.
Le radici storico-culturali
Ma come mai la lingua russa è così pregna di tutti questi elementi stranieri? La risposta ci viene dalla Storia. Infatti, la Russia è stata nel corso dei secoli terra di passaggio di numerose culture e popolazioni.
Inizialmente, il territorio russo era occupato da popolazioni nomadi, alle quali nel VII secolo subentrarono gli Slavi ed alcune popolazioni di origine vichinga, che, sovrapponendosi e mescolandosi a questo substrato, diedero origine alla Rus’ kieviana. Questo territorio prese il nome dall’operato dei principi del popolo Rus’ (di stirpe vichinga) provenienti da Novgorod che si stabilirono intorno a Kiev.
Con la conversione al cristianesimo del principe Oleg, conosciuto come Vladimir I, avvenuta nel 988 d.C., la Rus’ di Kiev entrò in stretti rapporti con Bisanzio. Nel 1132, con la Morte di Vladimir II il potere centrale si disgregò e vennero creati nuovi centri di potere, tra cui Novgorod. Nel 1237 il paese fu invaso dai Mongoli guidati da Gengis Khan che fondarono il Khanato dell’Orda d’Oro [2] e che nel 1240 misero a ferro e fuoco Kiev. I principati russi in questo periodo furono ridotti ad una posizione subordinata e tributaria verso il Khanato.
Il periodo tataro-mongolo si concluse solo nel 1480 con Ivan III, sovrano che dichiarò decaduto ogni dovere di fedeltà verso il khan. Inoltre Ivan III fu promotore del processo di unificazione dei russi e, sposando nel 1472 la nipote dell’ultimo imperatore bizantino, diede inizio al mito della “Terza Roma”, secondo il quale la Russia sarebbe stata l’erede della civiltà romano-bizantina. Il figlio di Ivan III, Basilio III (1503-1533), adottò uno “schema universalista che rifiutava l’autorità del Papa, rendendo Mosca la terza Roma: a livello politico lo zar ne ricevette un’autorità derivata direttamente da Dio.” [3] Si trattava di un elemento fondamentale per la costruzione dell’identità russa.
L’espansione territoriale continuò con Ivan IV, detto Il Terribile (1533-1584), che assunse per primo il titolo di zar (dal latino Caesar), introdusse nel mondo russo la servitù della gleba, la subordinazione della Chiesa ortodossa russa all’autorità legislativa del sovrano e lottò contro i boiardi (membri dell’alta aristocrazia feudale che per potere ed influenza erano inferiori solo ai principi regnanti), trasformando così il territorio in una vera e propria autarchia.
Dopo la morte del figlio di Ivan Il Terribile, Fedor I, ci fu un periodo di estrema instabilità caratterizzato dall’ingerenza polacca negli affari interni russi ma anche dal tentativo dei boiardi di recuperare il potere perduto. Questo periodo ebbe conseguenze negative sulla percezione della Russia in Occidente nei decenni che seguirono.
A partire dal 1613, con l’insediamento di Michele I che diede vita alla famosissima dinastia Romanov, la Russia mise in atto una politica di isolamento diplomatico e culturale rispetto all’Europa cattolica. Sotto il regno degli zar la Russia imperiale divenne una delle maggiori potenze mondiali: i suoi confini in Asia giunsero fino all’oceano Pacifico ed anche in America con la colonizzazione dell’attuale territorio dell’Alaska.
Tra gli zar più importanti e che ebbero un impatto notevole dal punto di vista culturale si ricordano: Pietro Il Grande e Caterina La Grande. Per introdurvi Pietro, il primo zar, ho scelto un aneddoto, divertente e singolare.
Pietro, essendo il secondo figlio dello zar, non avrebbe dovuto salire al potere ma, con la morte del fratello Ivan V, si ritrovò ad ereditare il trono a soli dieci anni. Nel 1697 partì per un viaggio di 18 mesi che aveva lo scopo di chiedere il sostegno ai suoi alleati europei contro gli Ottomani che minacciavano i confini russi. (Possiamo quindi definire Pietro Il Grande il primo studente Erasmus della storia!) Durante il viaggio Pietro rimase talmente affascinato dalle corti europee e dalla loro arte che, appena ritornato in Russia, convocò tutti i suoi nobili e tagliò loro personalmente la barba (simbolo che all’epoca caratterizzava la nobiltà) ed impose a tutte le donne nobili di parlare solo ed esclusivamente il francese.
Questo episodio trasformò culturalmente la vita di tutta la Russia: da quel momento in poi lo stato russo si lasciò influenzare da quello occidentale e quindi assorbì anche parte della cultura che a quell’epoca era particolarmente influente: quella francese. Pietro il Grande, inoltre, costruì la flotta russa che diventò la più potente al mondo e spostò la capitale da Mosca a San Pietroburgo, una città costruita su modello delle città olandesi che Pietro aveva visitato durante il suo viaggio.
Il periodo degli zar si concluse con la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 che sconvolse ancora una volta la cultura e la tradizione russa. Con l’instaurarsi del comunismo, ad esempio, fu bandita dal territorio russo la religione cristiana ortodossa. Questo cambiamento drastico causò una profonda percezione della religiosità da parte della popolazione, in particolare quella contadina, che progressivamente sostituì la propria religione con il culto dello Stato.
Per comprendere meglio quanto riportato precedentemente, vi fornisco un esempio. All’interno di ogni casa russa vi era un angolo chiamato “krasnij ugol” (che in russo pre-comunista significa “angolo bello”) nel quale vi era appesa un’ikona [4] alla quale si rivolgevano preghiere o si chiedeva protezione. Con l’avvento del comunismo, la parola “krasnij”, assunse il significato odierno di “rosso”, per cui “krasnij ugol” significa “angolo rosso”, ovvero la zona della casa dove vi erano appesi i quadri che ritraevano i maggiori esponenti del partito comunista.
Il periodo sovietico, si concluse il 25 dicembre del 1991 con l’abbassamento della bandiera sovietica dal Cremlino. Con questo significativo episodio, finì un’era caratterizza dal più totale isolamento dal mondo occidentale che aveva scosso e cambiato profondamente la cultura e la percezione russa dell’Occidente. Oggi, però, tale percezione è più aperta e prossima all’accoglienza del mondo esterno, occidentale e non.
Slavisti ed occidentalisti
I percorsi fino a qui presentati ci danno un quadro della Russia che potremmo definire come ibrido. E gli stessi russi cosa ne pensano al riguardo?
Nonostante il dibattito sulla questione sia ancora aperto ed accenda intense discussioni tra gli intellettuali e l’opinione pubblica, è bene fare chiarezza su chi siano coloro che pensano che la Russia sia “Oriente” e chi invece sostiene che sia “Occidente”. Coloro che si oppongono all’idea che la Russia appartenga al mondo occidentale, sono chiamati slavofili, mentre chi sostiene il contrario è denominato occidentalista.
Gli slavofili sono soliti sostenere che il Paese è stato un crocevia di civilizzazioni e che per questo motivo ha abbracciato valori culturali sia europei che asiatici, mentre gli occidentalisti sostengono che almeno culturalmente la Russia sia più vicina all’Occidente nonostante le differenze molto profonde.
[1] Kasatkin L., Krysin L., Zhivov V., Il Russo, a cura di N. Marcialis e A. Parenti, La Nuova Italia editrice, Scandicci (Firenze), 1995, pagg. 65-66
[2] Dopo la morte di Gengis Khan, l’impero mongolo fu diviso in quattro khanati tra i quali quello Dell’Orda D’Oro, fiorito in Russia nei secoli XII-XVI.
[3] Rey, Marie-Pierre, Le dilemme russe. La Russie et l’Europe occidentale d’Ivan le Terrible à Boris Eltsine, Paris, Flammarion 2002, pag. 24
[4] Raffigurazione sacra dipinta su tavola, prodotta nell’ambito della cultura cristiana bizantina e slava
FONTI:
• Kasatkin L., Krysin L., Zhivov V., Il Russo, a cura di N. Marcialis e A. Parenti, La Nuova Italia editrice, Scandicci
• Rey, Marie-Pierre, Le dilemme russe. La Russie et l’Europe occidentale d’Ivan le Terrible à Boris Eltsine, Paris, Flammarion 2002